Da Haley ad Amy a Niven la cultura dei ricordi
A volte c’è bisogno di ascoltare il richiamo delle origini. I libri sanno diventare testimoni di ricordi, una ragnatela di pensieri del proprio passato o di altre vite.
È l’epoca degli abbandoni, delle fughe, del carpe diem. Ogni lasciata è persa: i tempi si sono ristretti, le distanze ridotte, le emozioni sono fugaci e le occasioni irripetibili. È l’epoca della fuga dei cervelli, perché ormai lavorare nel proprio paese è diventato quasi un lusso, di grandi esodi e migrazioni dovuti a ragioni sociali e religiose.
Il cambiamento in tutte le sue sfumature ha avuto la meglio sulla vita quotidiana, ed è diventato la nuova routine. C’è qualcosa che spinge l’uomo a ritornare nei luoghi natii, o a rivivere sensazioni legate a ricordi d’infanzia. Ritornare al punto di partenza non è sempre semplice, ma è un atto dovuto.
Come succede per “La figlia dell’aggiustaossa” di Tan Amy, ed. Feltrinelli.
LuLing e Ruth sono madre e figlia, ma Ruth è cinese solo nelle fattezze, essendo un’americana di fatto. L’improvvisa malattia della mamma la metterà di fronte ad un manoscritto. Ciò che scoprirà sarà sorprendente. Un romanzo sui legami di sangue, ma anche sui rapporti non sempre facili tra madre e figlia.
Ci sono uomini che fanno di tutto per andarsene. Ma James Rebanks in “Vita di un pastore”, ed. Mondadori, non è uno di questi. Figlio di pastori del Lake District, a nord dell’Inghilterra, gli scenari di Beatrix Potter e Wordsworth, una laurea col massimo dei voti ad Oxford, decide di mollare tutto per tornare sulle tracce della sua famiglia. Una storia di legami familiari, ma anche di grande amore per la natura.
Un’altra storia di legami è Radici, di Alex Haley. Scritto nel 1976, è una saga familiare che ripercorre la storia di una famiglia afroamericana. Dalla seconda metà del 1700, narrando le vicende di Kunta Kinte, suo antenato, fino all’epoca più recente in cui scrive l’autore. Un racconto di schiavitù, ma anche di riscatto e libertà.
Se è un amico l’oggetto del ritrovamento, è una grande vittoria, come racconta “La trilogia del ritorno” di Fred Uhlman. Due amici al tempo della Germania nazista, Hans, ebreo, e Konradin, tedesco. Quando la storia sembra dividerli, l’amicizia fa appello all’antico legame indissolubile. Un classico sempre attuale.
Capita di avere la necessità di tornare sulle tracce di un passato scomodo, che sembra cancellato. Ma se a voler ricomporre i pezzi è Jonathan Safran Foer, autore di “Ogni cosa è illuminata”, edizioni Eccomi, (il viaggio è in Ucraina, e gli aiutanti sono un cugino squinternato, un nonno che si finge cieco e una cagnetta maleodorante), allora tutto è più avvincente.
Trasposizione cinematografica divertente, trama esilarante. Niven, appena uscito con “Le solite sospette”, ci regala un ritorno… divino! Dio torna in Paradiso dopo una pausa centenaria. Si accorge che le cose sulla terra sono disastrose e scarica la patata bollente a suo figlio Gesù, la cui unica competenza è suonare la chitarra. Dopo goffi tentativi di riportare le cose all’ordine, riuscirà a trovare una soluzione geniale.
Il buonumore è assicurato. Spesso andare via è inevitabile.
Tornare ha un gusto nuovo. Raccontare è d’obbligo.
Buona lettura!